Ero stato avvisato del
fatto che Solženicyn fosse pesante, ma non immaginavo di fare una
tale fatica ad andare avanti. Contro ogni mio standard ho deciso di
scrivere qualche considerazione alla fine del primo volume (iniziato
a fine gennaio!), perché continuando con questo passo rischio di
arrivare in fondo al terzo essendomi già dimenticato il primo. A mia
discolpa, Arcipelago Gulag ha in tutto qualcosa come
milleottocento pagine – tre volumi da seicento pagine cadauno
scritti fitti fitti; se sommiamo questo al fatto che l'opera racconta
nei dettagli i meccanismi disumani in cui furono triturati milioni di
cittadini sovietici, il complesso rende il tutto di non semplice
digestione.
Il primo libro è dedicato
all'arresto, all'istruttoria e al trasporto dei detenuti politici
verso il GuLag di destinazione. Il concetto di colpa e di innocenza è
abolito – borghese, controrivoluzionario. Esiste solo l'articolo 58
del codice penale, formulato in modo tale da poter essere applicato
il più diffusamente applicato, con le aggravanti a discrezione della
coscienza rivoluzionaria dei giudici (e da un certo punto in poi
diventa un semplice procedimento amministrativo gestito dalle
troike). Le deposizioni sotto tortura sono la norma; la detenzione
contestuale all'istruttoria è tortura già questa. Condanne a dieci,
e dal 1937 a venticinque, anni di campo di lavoro sono la norma; il
trasporto verso il lager, lungo giorni e notti, è in condizioni di
affollamento impensabili ai nostri giorni (si arrivò a trentasei
passeggeri in uno solo scompartimento); le prigioni di transito
affollate al punto tale che non è possibile usare il bugliolo, e le
più elementari condizioni igieniche vengono meno. In più la
vessazione da parte dei criminali comuni, da parte delle guardie
carcerarie, il cibo razionato oltre misura. Le prigioni zariste della
Russia tecnicamente ancora medievale, se confrontate, erano
trattamenti extra-lusso.
Deprimente, ma
interessante.
***+
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