Monday 27 May 2013

Vita di Pi

Molto è stato detto sull'uso del 3D in relazione alla fotografia, commentando in positivo gli esiti raggiunti da Ang Lee. In effetti, probabilmente spruzzi d'acqua e onde tridimensionali hanno un'ottima resa; ciò cui però penso si riferisse la critica è soprattutto l'aspetto più propriamente fotografico, relativo ai materiali di cui si compone l'inquadratura. E da questo punto di vista, ho trovato il linguaggio visivo un poco eccessivo, più appropriato all'illustrazione di una carta di Magic che al cinema, con le sue acque e nuvole dalle forme e dai colori esagerati, quasi kitsch.
Il finale è apertissimo, con la seconda interpretazione dell'esperienza di Pi in cui Richard Parker è di fatto una proiezione oggettivata di lui stesso ugualmente plausibile come la prima. Quale storia preferiamo? Quella con la tigre, o l'altra, disumana, spietata? La medesima risposta varrà per la fede in Dio, anche nel sincretismo indù-cristiano-musulmano che fa esclamare a Pi "Grazie Vishnu per avermi fatto conoscere Gesù Cristo!".
E sullo sfondo, non formulata apertamente, rimane l'ulteriore domanda, che in realtà una risposta ce l'ha (ma solo sul piano del senso, mentre quello della causalità resta eluso): perché è affondata la nave?

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Vita di Pi, di Ang Lee, Rhythm & Hues / Fox 2000 Pictures, USA 2012

Friday 24 May 2013

La casa degli spiriti

Trasposizione cinematografica dell'omonimo romanzo di Isabel Allende, servita soprattutto a riesumare dai cassetti della memoria il ricordo di quanto appassionante fosse stata la lettura del libro, ormai tredici - quattordici anni fa.
Il film, nonostante il cast di attori di prim'ordine (Jeremy Irons, Meryl Streep, Glenn Close e gli ancor giovincelli Winona Ryder e Antonio Banderas), non si regge in piedi troppo bene. Non solo non riesce (ovviamente!) a riassumere in modo soddisfacente la linea narrativa del libro, che attraversa quattro generazioni: si perde infatti nella sceneggiatura frammentaria, e pur cercando di strutturarsi episodicamente non trova la propria dimensione e i singoli quadri finiscono tendenzialmente per non avere né capo né coda; ma non riesce nemmeno a ricreare l'atmosfera senza tempo del romanzo, che pur disteso narrativamente attraverso tre quarti di Novecento, attinge a piene mani alla tradizione sudamericana del realismo mitico rappresentata da Márquez.

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La casa degli spiriti, di Billie August, Constantin Film, Germania/Danimarca/Portogallo 1993.

Wednesday 1 May 2013

Harry Potter e i doni della morte - Parte 2


Pensieri in libertà e osservazioni a latere su quanto catalizzato dal mezzo cinematografico.

Le saghe letterarie e cinematografiche di successo giungono a un certo punto alla conclusione, e quello è il momento della resa dei conti, del pettine cui arrivano i nodi. Ci sono saghe che falliscono la prova del finale, saghe che la reggono e saghe che la superano con maestria: queste ultime si contano sulle dita di una mano.
Non voglio soffermarmi anche questa volta sul concetto tolkieniano di eucatastrofe, né dare spazio a una sua lettura in chiave etimologica che pure ritengo possa risultare fruttuosa in quanto costringe a tenere conto del principio di sovvertimento, e di applicarlo a personaggi, scopi, linee narrative. Voglio piuttosto annotare ciò che di nuovo ho colto con questa prima visione post lettura.

Innanzitutto, la riabilitazione totale e radicale del personaggio di Piton, capace di un amore vero, profondo, disinteressato e fedele oltre la morte, incarnato nella difficoltà quotidiana dell'amare nonostante i limiti, le antipatie, le ferite personali, nonostante la scarsa stima da parte del mondo.

In secondo luogo, la risoluzione (direi quasi psicanalitica!) del rapporto di Harry con il padre morto: è solo nel momento in cui riesce ad accettare anche la limitatezza e le meschinità del padre fino ad allora sempre idealizzato che Harry può finalmente crescere davvero, diventare un uomo e prendere il proprio posto di adulto nel mondo.

La vicenda dei Malfoy suggerisce che nessuno è veramente irrecuperabile, che l'umanità è debole e può compiere scelte sbagliate per viltà, timore, egoismo; e ciò nonostante avere ancora margine di recupero - e non è detto che, per essere credibile, si debba per forza trattare di un recupero al cento per cento: anche un ottanta, o un sessanta per cento sono sempre un recupero.

Harry Potter potrebbe di fatto essere Signore della morte, avendo nelle mani tutti e tre i doni e la possibilità di usarli, ma rinuncia deliberatamente alla pietra della risurrezione lasciandosela cadere dalle mani nella foresta, e spezza la bacchetta di sambuco impossibilitando la ricomposizione della triade: si tiene solo ciò che è sempre stato suo - il mantello dell'invisibilità, il dono più prezioso e più saggio secondo la leggenda.

La maestria del finale si esplicita nel modo in cui gli archi narrativi dei singoli personaggi e dei singoli elementi della trama giungono al loro punto di coronamento, allo stesso tempo nuovo e naturale, appropriato per ognuno di essi. E in tutto questo gli incastri, spesso arditi e serrati delle linee narrative individuali non appaiono mai macchinosi.

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Harry Potter e i doni della morte - parte 2, di David Yates, Heyday Films, Warner Bros, United Kingdom 2011