Monday 12 May 2008

Шостакович, Dvořák, Martinů, Janáček - Teatro La Fenice

Terzultimo concerto della stagione cameristica alla Fenice, è stato un po' una delusione: attirato dallo spirito nazionalistico che, leggendo i nomi di Dvořák, Martinů, Janáček oltre a quello del mio amato Šostakovič si è buttato con entusiasmo in un'operazione di coltivazione delle radici culturali, mi sono scontrato con un programma che non ha reso giustizia ai compositori: si trattava infatti generalmente di brani minori. Notevole eccezione, le sei liriche di Марина Ивановна Цветаева (Marina Ivanovna Cvetaeva), cantate benissimo dal contralto Sara Mingardo, con meritatissime ovazioni del pubblico. Carini il Preludio, dissonante fino a risultare cacofonico, e lo scatenatissimo Scherzo; bello il Notturno, sostenuto dal pizzicato del contrabbasso e dalla nota tenuta di violoncello su cui spiravano ariosissimi violini; Martinů ha tutto lo spirito ceco di Smetana e Janáček, declinato in una serenità non compromessa dalle dissonanze novecentesche; deludente infine la Suite di Janáček, priva di personalità e classicheggiante - e me ne dolgo se non altro per il rispetto programmatico che devo al maestro moravo.


Interpreti:
  • Sara Mingardo - Contralto
  • Ilario Gastadello - Viola
  • Maurizio Valmarana - Violino
  • Camerata Marciana
Programma:
  • Дмитрий Шостакович (Dmitrij Šostakovič), Preludio e scherzo per ottetto d'archi Op. 11 ***+ (lo scherzo ++)
  • Antonín Dvořák, Notturno per archi in si maggiore, Op. 40 ****
  • Bohuslav Martinů, Divertimento per violino, viola e piccola orchestra. Serenata IV ****--
    Andante - Andante moderato - Allegretto
  • Дмитрий Шостакович, Sei liriche su testo di Марина Ивановна Цветаева, Op. 143 bis ****
    Ai miei versi - Da dove questa tenerezza? - Dialogo di Amleto con la coscienza - Poeta e zar - No! Rullava il tamburo - Per Anna Achmatova
  • Leoš Janáček, Suite per archi **
    Moderato - Adagio - Andante con moto - Presto - Adagio - Andante

Sunday 11 May 2008

5° Festival Nazionale di Cori giovanili e di Scuole Superiori - Vittorio Veneto

Quarta partecipazione del laboratorio gospel tenuto da Andrea d'Alpaos a Vittorio Veneto da ormai 6 anni (lo scorso anno abbiamo saltato, in favore di una forse più gratificante esibizione ai Ss. Apostoli di Venezia, come opening act per gli Atlanta Inspirational Choir). Per correttezza non si può dire che qualcosa sia andato male, né che il tutto sia stato deludente: per la moltitudine di liceali è sicuramente stato un evento, come lo fu per me ai tempi; tuttavia il gioco, che mostrava già la corda lo scorso anno, è diventato per me sempre meno sostenibile.
Non è un caso che delle canzoni presentate, due siano state riciclate dall'anno precedente e che il giudizio della commissione, positivo, abbia sottolineato l'operazione simpatia più che la (mancante) tecnica vocale.
Per la prima volta non siamo stati i vincitori morali del festival, a dispetto - o forse proprio per - il ruolo istituzionale di cui siamo stati investiti con la collocazione in apertura ed in chiusura della rassegna.

***

Programma:
  • Swing low, sweet chariot
  • Never alone
  • I want to thank you
  • Faithful
  • Giants

Saturday 10 May 2008

Notte brava a Las Vegas

Film approcciato con un forte pregiudizio di partenza: se Maddalena non avesse avuto i biglietti gratis non mi sarei certamente dato la pena di andare fino al cinema per vederlo.

Mi sono dovuto ricredere: l'ora e mezza trascorsa in preda alla banale formula "i due si odiano, sono costretti a convivere e scoprono di amarsi" è stata piacevole, e in certi momenti anche piuttosto divertente. Cameron Diaz in versione broker in carriera sarebbe potuta entrare di diritto nel cast del Diavolo veste Prada: fisico mozzafiato e non un errore in fatto di stile; Ashton Kutcher dal canto suo ha dimostrato di essere il tipico ragazzone americano sotto tutti gli aspetti, e che non c'è una seria ragione verosimile per cui Demi Moore lo abbia eletto principe consorte.

Umorismo a tratti un po' fisico, buoni sentimenti, un pizzico di cattiveria, e grazie al cielo niente eccessiva volgarità all'americana.

**++

Thursday 8 May 2008

Marco Toso Borella - Padroni e pedine (Scacchi a chi?)

Seconda fatica letteraria, da me ottenuta come parte del pacchetto autoriale contenente anche 1989.

Il libro consiste in una raccolta di racconti incentrati ciascuno su un pezzo della scacchiera - pedone, cavallo, re, torre, alfiere e donna - e tenuti insieme da una rete di rimandi intertestuali che fanno da ordito a trame paradigmatiche esplicanti il destino implicito in ogni pezzo: in questo modo prendono corpo Corinne Dame, Dorian White, Al "King", personaggi-esplicitazione del proprio alter ego scacchistico. Ogni racconto è preceduto da erudite citazioni da libri editi in luoghi impossibili -da Münchausen a Flatlandia -, composto in un carattere diverso (il gusto dell'editore tuttavia lascia a desiderare: caratteri e progetto tipografico avrebbero potuto essere molto più curati, data la loro particolare importanza) e corredato da illustrazione di pugno dell'autore.

Più difficile di 1989, e parimenti migliore: pur a tratti appesantito da stereotipi da action fiction, si mantiene al di sopra di essi grazie alla notevole erudizione ed alla sofisticata costruzione del gioco letterario. Si va da rivisitazioni iliadiche a gangster e spy story, passando per incontri (im)possibili tra Maximilien (de) Robespierre e Luigi XVI, pendolarismi orwelliani e concludendo con due brani tra il poetico e il metaletterario sul concetto di nero verso bianco, strizzando continuamente l'occhio al lettore in una sorta di sfida che, alla fine dei conti, fa parte della fenomenologia di ogni partita di scacchi.

Notevole la copertina.

****--

Marco Toso Borella - Venezia impossibile - 1989: il serenissimo principe fa sapere che...

Immeritato regalo da parte dell'autore a fronte dei più o meno reali pregi di questo diario. :)

Opera prima in ambito narrativo, consiste in un romanzo piuttosto breve ambientato in una ipotetica Repubblica Veneziana del 1989, sopravvissuta alla conquista napoleonica, alla consegna all'Austria (qui mai avvenuta) e all'unità d'Italia, trasformatasi in un grottesco stato totalitario che fa del turismo, del vetro e della neutralità internazionale sfruttata dal punto di vista finanziario le proprie ragioni di sopravvivenza.
Protagonista è Leonardo Rizzi, vedovo, padre di due figli, e provveditor capo della quarantia al civil e al criminal incaricato di indagare sugli omicidi di tre mastri vetrai nella blindatissima isola di Murano.

La trama si sviluppa in modo piuttosto prevedibile, attingendo alla tradizione del romanzo avventuroso e di quello poliziesco in continui giochi di specchi e rivelazioni per cui nessun dettaglio è ciò che sembra, in una sorta di Dan Brown ante litteram. Il punto di forza letterario è nella realtà parallela immaginata e descritta, una Venezia stravolta eppure, paradossalmente, possibile, nella cui descrizione Marco Toso attinge a piene mani alla propria conoscenza della città in quanto muranese, artista e storico, arrivando a formulare una precisa accusa nei confronti della falsità di una città moralmente di cartapesta, ridotta ad essere un castello di Disneyland ad uso e consumo dei turisti.

L'autentico pregio del libro è però costituito dalle belle illustrazioni, incisioni dallo stile personale e pure senza tempo, vero luogo dove emerge la cultura e la sensibilità dell'autore. Si potrebbe fin dire, esagerando, che il romanzo non sia altro che un divertissement narrativo di corredo alle illustrazioni, vere protagoniste del libro.

***++

Wednesday 7 May 2008

Orestiade - Teatro greco di Siracusa

Grande sconfitta della Centanni, alla cui peraltro molto pregevole traduzione dell'Orestea di Eschilo è stata preferita quella di Pasolini, redatta per l'inscenazione siracusana del 1960 curata da Vittorio Gassman, che in quell'occasione rifiutò di assegnare l'incarico della traduzione a Salvatore Quasimodo. (A questo proposito, non è un caso se tra gli argomenti caldi del convegno Vendetta e giustizia nell'Orestea tenuto presso la sede dell'Istituto Nazionale per il Dramma Antico a Palazzo Greco gli animi si siano arroventati proprio sulla delicata questione dei tradimenti pasoliniani e di quali di essi fossero deliberati e di quali invece frutto di errori e scarsa conoscenza del greco e del francese). La Centanni faceva parte comunque del team organizzatore, e ha funto da consulente al regista Pietro Carriglio.
Al di là delle beghe accademiche, tuttavia, lo spettacolo è stato per me un'occasione più unica che rara: assistere alla messa in scena di una intesa trilogia tragica, e per giunta al teatro greco, non è cosa da capitare tutti gli anni. Se poi aggiungiamo la dotta compagnia della Centanni, il posto d'eccezione in una serata di anteprima dedicata alle autorità ed alla stampa, l'idillio è completo.

L'inscenazione era di buona qualità, scevra della lettura politica suggerita dalla versione pasoliniana e focalizzata invece sul dramma del sangue che chiama altro sangue: di primissimo piano in questo senso il ruolo di Clitemnestra, probabilmente principe di una compagnia di attori complessivamente di assai buon livello. Il coro ha giocato un ruolo importante, soprattutto in Coefore ed Eumenidi, agendo come entità autonoma sulla scena in perfetto senso classico e contrappuntando all'azione recitante interventi musicali, accompagnati da musicisti dal vivo presenti in scena, e coreografici in senso stretto - apprezzabilissima in questo senso l'interpretazione delle Erinni tutte e della loro corifea.


Scenografia vagamente postmoderna, alla Aldo Rossi, di notevole impatto visivo; peccato per la torre con scala a chiocciola, dominante la scena ma poco utilizzata nel concreto.

Difficile da giudicare per la sua unicità, nonostante qualche sporadica caduta di stile in senso pop si è trattato di un'esperienza eccezionale e di assoluto rilievo.

Splendido il manifesto; peccato solo che l'Oreste recitante non fosse e probabilmente non potesse essere quello il cui volto intenso campeggiava sulla gigantografia del fotografo Ferdinando Scianna.

*****

Traduzione: Pier Paolo Pasolini
Regia, scene e costumi: Pietro Carriglio

Musiche: Matteo D'Amico
Luci: Luigi Saccomandi
Movimenti coreografici: Leda Lojodice
Registi assistenti: Umberto Cantone, Luciano Roman
Scenografo assistente: Giuseppe Accardo
Costumista assistente: Marcella Salvo
Assistente alla regia: Tatiana Alescio
Assistente alle coreografie: Simona Gatto
Musiche dal vivo: Palermo Art Ensemble Sestetto - Michele Mazzola (sax soprano), Carmelo Sacco (sax contralto - sax basso), Alfonso Vella (sax tenore), Vincenzo Salerno (sax baritono), Giorgio Garofalo (violoncello), Francesco Prestigiacomo (fisarmonica- percussioni)

Guardiano: Luciano Roman
Clitennestra: Galatea Ranzi
Messaggero: Maurizio Donadoni
Agamennone: Giulio Brogi
Cassandra: Ilaria Genatiempo
Egisto: Luciano Roman
Capocoro (Agamennone): Stefano Santospago

Oreste: Luca Lazzareschi
Pilade: Claudio Mazzenga
Elettra: Galatea Ranzi
Un ragazzo (Portinaio): Aurora Falcone
Balia: Simonetta Cartia
Servi di Egisto: Francesco Alderuccio, Francesco Biscione, Luigi Mezzanotte
I Capocoro (Coefore): Cristina Spina
II Capocoro (Coefore): Elena Polic Greco
Corifee (Coefore): Valentina Bardi, Ilaria Bottiglieri

Religiosa: Liliana Paganini
Apollo: Maurizio Donadoni
Ombra di Clitennestra: Galatea Ranzi
Atena: Elisabetta Pozzi
Capocoro (Eumenidi): Cristina Spina
Corifee (Eumenidi): Elena Polic Greco, Ilaria Bottiglieri, Valentina Bardi

Costumi: Laboratorio di sartoria Fondazione INDA Siracusa
Scenografie: Laboratorio di scenografia Fondazione INDA Siracusa

Siracusa

«Viaggio della speranza», come lo ha prontamente ribattezzato Mademoiselle, riferendosi alle relativamente proibitive condizioni del viaggio (21 ore fra treni e stazioni), effettuato in un raptus di follia allo scopo di assistere all'anteprima dell'Orestea di Eschilo per la XLIV stagione del teatro greco di Siracusa curata dall'Istituto Nazionale per il Dramma Antico; l'invito, inutile dirlo, è partito dalla Centanni.

La discesa in Sicilia mi ha permesso di contemplare, per la prima volta dopo 13 anni, i paesaggi del Sud Italia - dal caos ordinato della campagna campana alla lussureggiante ed abusiva Calabria alle varie sfumature della Sicilia, dal riarso Messinese alla piana di Catania dominata dall'Etna al catano-siracusano agricolo e curato.
Il Sud mi è apparso quasi come uno stato estero, profondamente diverso dalle regioni mitteleuropee cui sono stato abituato, di una povertà quasi ostentata negli edifici mal tenuti, intensamente vissuti e vagamente pretenziosi nelle loro rifiniture pacchiane.
Allo stesso tempo, la Sicilia mi ha mostrato ancora un altro lato, per certi versi complementare: quello della stratificazione storica delle città, i cui palazzi prevalentemente barocchi paiono, complici il verde e la luce zenitale del sole, memori dell'era coloniale spagnola, Nuovo Mondo messicano o cubano. E in tutto ciò una sensazione di placidità, di atarassia rispetto agli affanni del mondo, di una tranquillità ed una lentezza antiche e sempre nuove, assai diverse dalla frenesia del Nord e della stessa, pur lenta, Venezia.

Dopo aver partecipato ai lavori del convegno Vendetta e giustizia nell'Orestea a Palazzo Greco è stata la volta della visita alla città di Siracusa, iniziando dall'isola di Ortigia, cuore storico-turistico (in piena festa di S. Lucia) con il duomo/tempio di Athena, S. Lucia alla Badia imbiancata di smalto con la statua metallica della novella Pallade protettrice della Siracusa cristiana, la fonte Aretusa e il lungomare/foro Vittorio Emanuele, gli antichissimi resti del tempio di Apollo e le piazze del Duomo e Archimede.
Spostandomi al teatro greco per la rappresentazione, sono riuscito ad infilare per strada l'ara di Ierone, l'orecchio di Dionisio nelle Latomie del Paradiso, fantasmagorica concrezione opera della natura e dell'uomo, e l'anfiteatro romano; esclusi sono rimasti il Castello Maniace ad Ortigia, il foro e l'agorà (in pieni lavori di giardinaggio pseudourbanistico), il tempio di Zeus Olimpio (secondo tempio più antico della città dopo quello di Apollo, il più antico tempio dorico della Sicilia) la cui presenza ho scoperto troppo tardi, e il santuario della Madonna delle Lacrime, il cui cono domina la vista da ogni angolo della città quasi a sottolineare la presenza miracolosa e protettiva.

Per esserci stato solo 22 ore, alla giapponese, mi sento oltremodo realizzato.

***++

Tuesday 6 May 2008

Kevin Lynch - The image of the city

Part of Leonardo Ciacci's Theories of Urbanism course bibliography; and yet again, a book which made me change the way I used to think. Lynch performs a smart analysis of three case studies - Boston, Jersey City and Los Angeles - abstracting from them the principles for a visual design of a city or, better, for an imageability of the city itself.
According to Lynch, for a citisen/dweller/worker/tourist to be pleasant, a city must help his orientation by offering him enough elements of visual, tactile, smelly and audio nature in order for him to be able to build his own mental image of the city, an usable map that will make him feel safe, secure and oriented.

Lynch isolates five core elements in the imageability of a city. Paths, Edges, Districts, Nodes, and Landmarks are the cathegories people most frequently use in their conscious and subconscious process of mental organisation of the information related to their relationship towards the place they find themselves in; hence, in order for them to be effective they must mutually reinforce and not contradict each other.

Saturday 3 May 2008

Il padrino, parte II

Grande capitolo secondo, forse il più grande nella storia del cinema: sviluppa ed amplia i temi del primo film, costituendo allo stesso tempo un sequel ed un prequel, seguendo in parallelo Michael Corleone alla guida della famiglia negli anni Cinquanta e Sessanta e l'ascesa del padre Vito, dalla fuga da Corleone all'arrivo a New York agli inizi della sua carriera di padrino.

E se la storia di don Vito è dolce, commovente e segnata dalla grande umanità del personaggio (un grandissimo Robert de Niro, doppiato magistralmente), quella di Michael assume le tinte della tragedia. Michael non desiderava diventare il nuovo padrino: fu il corso degli eventi a costringerlo ad assumere la carica, e Michael lo fece con tutto l'impegno ed il senso di responsabilità a lui propri, fondando il proprio operato sui medesimi ideali di quello del padre - la famiglia, e cercando in tutti i modi di ricalcare la figura forte costituita dal padre, tenendo per sé i propri timori, le proprie paure, e rinunciando a tutte le proprie aspirazioni. Ma il suo più grande timore diventa realtà in una amara disconferma delle parole che sua madre invece pronuncia con serafica certezza: «Non puoi perdere la famiglia».
E invece il carattere introverso di Michael fa sì che né la famiglia né i protetti lo amino come amavano don Vito, bensì piuttosto lo temano. Il consigliere Tom si fa sempre più distante, il fratello Fredo arriva al tradimento, la moglie Kay abortisce pur di non avere altri figli da lui, la sorella lo odia. E Michael serba tutto nel suo cuore, ricorda e non perdona, va avanti nello sforzo di ottenere il meglio per coloro che lo circondano, mietendo successi dopo successi e diventando sempre più solo, costretto a confrontarsi con i fantasmi di un passato in cui sognava un futuro differente.

Cinematograficamente magistrale, come Il padrino; tuttavia, mentre il primo descrive un mondo idilliaca e colmo di gioia di vivere, Il padrino, parte II è cupo, triste, segnato dalla disperazione e tragicamente catartico.

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