Monday 25 June 2012

Il principe d'Egitto

Quattordici anni dopo la sua uscita, finalmente anch'io riesco a vedere questa pietra miliare del cinema di animazione - miliare nel senso che probabilmente rappresentò la prima vera sfida alla Disney Renaissance, che guarda caso si esaurì nel 1999 (l'anno successivo) con Tarzan. Una sfida che a dire il vero venne condotta secondo le regole esistenti, senza tentare di ridefinire il canone: protagonista orfano di almeno uno dei genitori, tante belle canzoni, momenti deliberatamente comici uniti a passaggi ricchi di pathos. La stilizzazione dei personaggi e degli sfondi è portata a un altissimo livello, stile Pocahontas; l'epica è davvero epica.

Tuttavia non sta qui il maggiore pregio del Principe d'Egitto, che altrimenti si esaurirebbe, per quanto mi riguarda, con un paio di canzoni memorabili (When you believe e The plagues) e poco altro. La scena più sorprendente infatti è quella del roveto ardente e della vocazione di Mosè: mi aspettavo qualcosa di pomposo in stile I dieci comandamenti, e mi sono trovato con un'interpretazione radicalmente diversa. Il prodigio è qualcosa come un fuoco fatuo, non preternaturale in sé; la voce di Dio è di fatto la stessa voce di Mosè. Come a dire che l'esperienza dell'incontro con il Radicalmente Altro è sempre un'esperienza interpretabile anche 'ordinariamente', che parla la stessa lingua dell'uomo, lasciando intravvedere il mistero dietro le sagome delle cose e degli eventi senza mai svelarlo apertamente.

Ultima annotazione: mi ha colpito come, visivamente, la fiamma del roveto sembri anticipare un'altra fiammella simboleggiante Dio - quella di Tree of Life, di dodici anni successivo.

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Friday 22 June 2012

Erasmo da Rotterdam - Elogio della Follia

La chicca erasmiana serviva a riempire una delle mie innumerevoli lacune in fatto di cultura classica, tuttavia devo ammettere che si tratta di un riempimento che non mi lascia affatto appagato. Il gioco di far parlare la Follia/Moria da principio è divertente; anche il sovvertimento/trasvalutazione dei valori che ne deriva non manca di simpatia; Erasmo, in somma, ha dalla sua la penna caustica, la conoscenza del genere umano, la grande cultura classica che comprende la padronanza del greco. Ma tutto questo non basta. Perché ben presto il troppo stroppia, la satira diventa aperta, e verso la fine il libello si trasforma in una deliberata presa in giro di principi, dottori, teologi, chierici e del loro malcostume; l'erudizione alla lunga diventa anch'essa sostenibile solo a fatica, perché presuppone una conoscenza della classicità pari a quella di Erasmo. Mi ha colpito il forte senso cristiano di Erasmo, ma in fondo preferisco la causticità di Dürrenmatt.

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Friday 15 June 2012

Klimt nel segno di Hoffmann e della Secessione - Museo Correr

È vero: è una di quelle mostre che usa il nome di un artista famoso scritto a caratteri cubitali per attirare pubblico, quando poi in realtà dell'artista famoso c'è poco. In questo caso, sostanzialmente tutto il Klimt che c'è proviene da Ca' Pesaro - in somma, una mostra fatta in casa; d'altronde, nel centocinquantenario dalla nascita era poco probabile che i musei viennesi prestassero in giro materiale klimtiano, specie con cinque mostre a lui dedicate nella capitale austriaca.

Tralasciando questa piccola grande delusione, si tratta ovviamente di una mostra splendida quanto il soggetto. È investigato il rapporto tra Klimt e Hoffmann, e la tensione verso il gesammtkunstwerk culminata probabilmente nella XIV esposizione della Secessione dedicata a Beethoven. A compensare ampiamente la mancanza di pezzi importanti c'è l'arte applicata: le spille (quadrate) di Hoffmann, piedistalli ed espositori (cubici), una libreria modulare (a modulo cubico), alcuni numeri della rivista Ver Sacrum (in formato quadrato) e le meravigliose cornici dei quadri curate fino al sottile ma determinante dettaglio: la doratura del bordo interno, inclinato a 45°, che crea vibrazione luminosa. D'altronde, nel design come in architettura, sono i dettagli a fare la differenza...

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Thursday 14 June 2012

La Bella e la Bestia

A volte trovo una ragione in più per voler tenere un diario di questo tipo. Come per esempio La Bella e la Bestia, vista questa sera al cinema, per la seconda volta in assoluto. Me ne sono venuto a casa mentre mi risuonava dentro quel "...la felicità", con tanta voglia di silenzio, stupore per le stelle del cielo e la tiepida frescura della sera, e gratitudine al mondo, a Dio e agli uomini.


Non è una storia d'amore e basta: non è così banale. È la storia di come nasce un amore, di come si apprende ad amare chi si ha accanto, e di quanto alla fine dei conti sia labile il confine tra amicizia e amore, quando sono intesi nel senso più profondo, più puro e più vero. Il grande pregio della Bella e la Bestia, quello che mi ha fatto finalmente capire quanto effettivamente sovrasti l'intera schiera di splendidi film della Disney Renaissance, da La Sirenetta a Tarzan, non sono le canzoni, la colonna sonora da musical, gli sfondi dipinti a mano, la stilizzazione, la sceneggiatura serrata, la narrativa compatta: è invece la sua misura di verità. La Bella e la Bestia è vera quanto la vita, i suoi personaggi principali non sono maschere ma persone autentiche, con le loro emozioni - impercettibilmente, ma significativamente diverse dai buoni e cattivi sentimenti su cui si appiattisce generalmente un film di animazione. Ed è per questo che durante la scena del ballo, o al termine del duello con Gaston e nell'intervento di Belle, chi abbia visto tutto il film senza interruzioni può arrivare a versare qualche goccia di pianto: perché come nella tragedia greca, aristotelicamente intesa, ciò che viene rappresentato sono le nostre emozioni, i nostri rapporti interpersonali, e il modo in cui siamo (o non siamo) giunti fino a lì.
Ne è espressione poetica, e quindi sintesi estrema, la dedica al paroliere Howard Ashman (1950-1991), collocata al termine dei titoli di coda.
To our friend Howard, who gave a mermaid her voice and a beast his soul, we will be forever grateful.

Lascio stare il 3D - immagino che la digitalizzazione sia avvenuta utilizzando i vari piani della multiplane camera, per cui un presupposto di tridimensionalità ci fosse già in partenza, come per la maggior parte dei classici Disney.

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