Pensieri in libertà e osservazioni a
latere su quanto catalizzato dal mezzo cinematografico.
Le saghe letterarie e
cinematografiche di successo giungono a un certo punto alla conclusione, e
quello è il momento della resa dei conti, del pettine cui arrivano i nodi. Ci
sono saghe che falliscono la prova del finale, saghe che la reggono e saghe che
la superano con maestria: queste ultime si contano sulle dita di una mano.
Non voglio soffermarmi anche questa
volta sul concetto tolkieniano di eucatastrofe, né dare spazio a una sua
lettura in chiave etimologica che pure ritengo possa risultare fruttuosa in
quanto costringe a tenere conto del principio di sovvertimento, e di applicarlo
a personaggi, scopi, linee narrative. Voglio piuttosto annotare ciò che di
nuovo ho colto con questa prima visione post lettura.
Innanzitutto, la riabilitazione
totale e radicale del personaggio di Piton, capace di un amore vero, profondo,
disinteressato e fedele oltre la morte, incarnato nella difficoltà quotidiana
dell'amare nonostante i limiti, le antipatie, le ferite personali, nonostante
la scarsa stima da parte del mondo.
In secondo luogo, la risoluzione
(direi quasi psicanalitica!) del rapporto di Harry con il padre morto: è solo
nel momento in cui riesce ad accettare anche la limitatezza e le meschinità del
padre fino ad allora sempre idealizzato che Harry può finalmente crescere
davvero, diventare un uomo e prendere il proprio posto di adulto nel mondo.
La vicenda dei Malfoy suggerisce che
nessuno è veramente irrecuperabile, che l'umanità è debole e può compiere
scelte sbagliate per viltà, timore, egoismo; e ciò nonostante avere ancora
margine di recupero - e non è detto che, per essere credibile, si debba per
forza trattare di un recupero al cento per cento: anche un ottanta, o un
sessanta per cento sono sempre un recupero.
Harry Potter potrebbe di fatto essere
Signore della morte, avendo nelle mani tutti e tre i doni e la possibilità di
usarli, ma rinuncia deliberatamente alla pietra della risurrezione
lasciandosela cadere dalle mani nella foresta, e spezza la bacchetta di sambuco
impossibilitando la ricomposizione della triade: si tiene solo ciò che è sempre
stato suo - il mantello dell'invisibilità, il dono più prezioso e più saggio
secondo la leggenda.
La maestria del finale si esplicita
nel modo in cui gli archi narrativi dei singoli personaggi e dei singoli
elementi della trama giungono al loro punto di coronamento, allo stesso tempo
nuovo e naturale, appropriato per ognuno di essi. E in tutto questo gli
incastri, spesso arditi e serrati delle linee narrative individuali non
appaiono mai macchinosi.
****+
Harry Potter e i doni della morte - parte 2, di David Yates, Heyday Films, Warner Bros, United Kingdom 2011
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