Wednesday 1 May 2013

Harry Potter e i doni della morte - Parte 2


Pensieri in libertà e osservazioni a latere su quanto catalizzato dal mezzo cinematografico.

Le saghe letterarie e cinematografiche di successo giungono a un certo punto alla conclusione, e quello è il momento della resa dei conti, del pettine cui arrivano i nodi. Ci sono saghe che falliscono la prova del finale, saghe che la reggono e saghe che la superano con maestria: queste ultime si contano sulle dita di una mano.
Non voglio soffermarmi anche questa volta sul concetto tolkieniano di eucatastrofe, né dare spazio a una sua lettura in chiave etimologica che pure ritengo possa risultare fruttuosa in quanto costringe a tenere conto del principio di sovvertimento, e di applicarlo a personaggi, scopi, linee narrative. Voglio piuttosto annotare ciò che di nuovo ho colto con questa prima visione post lettura.

Innanzitutto, la riabilitazione totale e radicale del personaggio di Piton, capace di un amore vero, profondo, disinteressato e fedele oltre la morte, incarnato nella difficoltà quotidiana dell'amare nonostante i limiti, le antipatie, le ferite personali, nonostante la scarsa stima da parte del mondo.

In secondo luogo, la risoluzione (direi quasi psicanalitica!) del rapporto di Harry con il padre morto: è solo nel momento in cui riesce ad accettare anche la limitatezza e le meschinità del padre fino ad allora sempre idealizzato che Harry può finalmente crescere davvero, diventare un uomo e prendere il proprio posto di adulto nel mondo.

La vicenda dei Malfoy suggerisce che nessuno è veramente irrecuperabile, che l'umanità è debole e può compiere scelte sbagliate per viltà, timore, egoismo; e ciò nonostante avere ancora margine di recupero - e non è detto che, per essere credibile, si debba per forza trattare di un recupero al cento per cento: anche un ottanta, o un sessanta per cento sono sempre un recupero.

Harry Potter potrebbe di fatto essere Signore della morte, avendo nelle mani tutti e tre i doni e la possibilità di usarli, ma rinuncia deliberatamente alla pietra della risurrezione lasciandosela cadere dalle mani nella foresta, e spezza la bacchetta di sambuco impossibilitando la ricomposizione della triade: si tiene solo ciò che è sempre stato suo - il mantello dell'invisibilità, il dono più prezioso e più saggio secondo la leggenda.

La maestria del finale si esplicita nel modo in cui gli archi narrativi dei singoli personaggi e dei singoli elementi della trama giungono al loro punto di coronamento, allo stesso tempo nuovo e naturale, appropriato per ognuno di essi. E in tutto questo gli incastri, spesso arditi e serrati delle linee narrative individuali non appaiono mai macchinosi.

****+


Harry Potter e i doni della morte - parte 2, di David Yates, Heyday Films, Warner Bros, United Kingdom 2011

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