Non è una storia d'amore e basta: non è così banale. È la storia di come nasce un amore, di come si apprende ad amare chi si ha accanto, e di quanto alla fine dei conti sia labile il confine tra amicizia e amore, quando sono intesi nel senso più profondo, più puro e più vero. Il grande pregio della Bella e la Bestia, quello che mi ha fatto finalmente capire quanto effettivamente sovrasti l'intera schiera di splendidi film della Disney Renaissance, da La Sirenetta a Tarzan, non sono le canzoni, la colonna sonora da musical, gli sfondi dipinti a mano, la stilizzazione, la sceneggiatura serrata, la narrativa compatta: è invece la sua misura di verità. La Bella e la Bestia è vera quanto la vita, i suoi personaggi principali non sono maschere ma persone autentiche, con le loro emozioni - impercettibilmente, ma significativamente diverse dai buoni e cattivi sentimenti su cui si appiattisce generalmente un film di animazione. Ed è per questo che durante la scena del ballo, o al termine del duello con Gaston e nell'intervento di Belle, chi abbia visto tutto il film senza interruzioni può arrivare a versare qualche goccia di pianto: perché come nella tragedia greca, aristotelicamente intesa, ciò che viene rappresentato sono le nostre emozioni, i nostri rapporti interpersonali, e il modo in cui siamo (o non siamo) giunti fino a lì.
Ne è espressione poetica, e quindi sintesi estrema, la dedica al paroliere Howard Ashman (1950-1991), collocata al termine dei titoli di coda.
To our friend Howard, who gave a mermaid her voice and a beast his soul, we will be forever grateful.
Lascio stare il 3D - immagino che la digitalizzazione sia avvenuta utilizzando i vari piani della multiplane camera, per cui un presupposto di tridimensionalità ci fosse già in partenza, come per la maggior parte dei classici Disney.
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