Wednesday 17 October 2007

Le Corbusier - Verso un'Architettura

Per la serie, bisogna conoscere il nemico. Dopo tre anni di architettura, finalmente mi azzardo a leggere l'iperosannata e superinfluente opera di quello che allo IUAV è considerato un dio dell'architettura. Sono rimasto sorpreso: al di là dell'impostazione e dell'iconografia evidentemente programmatica, volutamente polemica e rivoluzionaria (le cui vestigia si trovano ancora oggi in molte presentazioni di studenti bravi, pseudobravi e pseudointellettuali, o che semplicemente si sanno vendere), si tratta in effetti di un libro chiave, che taglia ogni ponte con l'architettura del passato (o che perlomeno finge che non siano esistiti precedenti tentativi), e cerca di affermare un nuovo punto di partenza. Non mancano idee pregevoli; il grandissimo difetto di Le Corbusier tuttavia resta l'arroganza con la quale impone la propria visione come se fosse l'unica possibile e degna di valore, affermando la superiorità del freddo raziocinio sia tecnico che compositivo, e dimenticando completamente (anche se programmaticamente) l'elemento emotivo, lo spirito del tempo e del luogo, ciò che rende in altre parole l'architettura amata dall'uomo che la vive.

***+

5 comments:

Corinna said...

Che bravo! Pensa che ancora io non ho avuto coraggio ed il libro è rimasto per il terzo anno consecutivo sulla mia scrivania ancora non letto...mi guarda sconsolato!
Passi l'arroganza (che comunque non puoi negare deve essere una caratteristica intrinseca dell'essere acrchitetto) e passi il raziocinio tecnico e compositivo (che deve essere contestualizzato storicamente), secondo me l'errore fondamentale di LC non è tanto l'ignorare l'elemento emotivo, ma l'elemento umano.
Bada bene: non concordo con la tua definizione di elemento emotivo come l'espressione in termini architettonici dello spirito del tempo e del luogo. Permettimi di definirla banalmente "relazione con il contesto". Questa relazione è difficile da giudicare perchè spesso e volentieri il nostro giudizio sulle opere di LC (mea cupla!) passa attraverso il filtro dell'incompatibilità tra la nostra sensibilità nei confronti dell'uomo e del suo ambiente e la totale asetticità dei suoi progetti, quindi, non ci fa vedere che un motivo esiste se LC è la figura mitica che ci propinano dal primo giorno.
Secondo me il suo merito principale è stato l'aver portato sul palcoscenico, con l'accompagnamento di banda nazionale e sbandieratrici, dei problemi che erano stati sottolineati già da mezzo secolo. Qui sta, però, anche il suo enorme errore: ha trasformato la soluzione a questi problemi in dogma. Estremizzando le sue intuizioni, corrette (ammettiamolo),ha invertito i termini dell'equazione: non più l'architettura per l'uomo, ma l'uomo per l'architettura. Trovata la formuletta magica che permette di progettare correttamente un ambiente cosa c'è da fare? Progettare l'uomo adatto per questo ambiente!!!

Santi said...

Credo che con l'ultima frase tu abbia centrato il problema. Le Corbusier pretende che l'uomo si adatti alla sua architettura, dimenticando che l'architettura (come recentemente sottolineato dalla Centanni al seminario), è in primo luogo una "creazione" dell'uomo per sé stesso - l'uomo, animale da città (secondo Aristotele), costruisce il proprio habitat e non sopravvive in un habitat già dato.

Anonymous said...

Senti senti,anzi, leggi leggi cosa hanno pubblicato sul Venerdì di Repubblica di questa settimana.
L'articolo riguarda la questione dell'edificazione di case popolari:
"Ora che si può ripartire, però, si pone un problema non da poco: come evitare di tirare su nuovi mostri? C'è chi non ha dubbi: mandando in pensione Le Corbusier e imparando dalle case abusive delle periferie. Ne è convinto l'architetto Paolo Desideri[...]'Gli splendidi modelli dell'Unité d'Habitation di LC' spiega Desideri 'erano legati alla necessità di condensare la monodopera intorno alla fabbrica. Già negli anni 70, e ancora di più oggi, quel modello fordista non vale più. Ecco perchè la gente vive male in quartieri come lo Zen di Palermo o il Corviale di Roma. E sogna la casetta abusiva Topolinia style'."
Ridiamo o piangiamo?! Ridiamo dai!

Anonymous said...

Chi cerca trova...ed io trovo anche se non cerco! Ho appena finito di leggere il libro di R. Banham "Los Angeles-L'architettura di quattro ecologie" ed ho trovato una cosa a dir poco esilarante!!!
Argomento principale è la particolarità di LA di essere sorta non come agglomerato urbano, ma come rete di trasporti...le case vennero dopo! Quindi chi visità quella città, di dimensioni territoriali, sarà soffocato, quasi, dall'abbondanza di collegamenti stradali.
"E' il sogno che appare nell'equazione di Le Corbusier: un reve x 1.000.000= il caos. Sfortunatamente per LC e per la sua matematica retorica, il caos era nella sua mente e non a Los Angeles, dove sette milioni di seguaci del California Dreaming riescono a trovare la loro strada senza alcuna confusione."
che dire di più?

Santi said...

Il problema è che Le Corbusier non ragiona in modo urbanistico, e per lui la città è poco più che un'utopia: basti vedere progetti come il piano di Algeri o la Ville Radieuse, o realizzazioni come Chandigarh per rendersi conto che Le Corubusier, per citare Ferlenga, non ha la benché minima idea di cosa sia una città. Per lui esiste solo il gioco rigoroso e magnifico dei volumi sotto la luce (condivisibilissimo, se non fosse un'affermazione impugnata in modo assolutistico), la funzione dell'oggetto architettonico - vedi la famosa macchina da abitare - ma gli manca tutto il resto.

Una città non può essere costruita da una persona sola: si tratta di un insieme di stratificazioni e relazioni attorno ad un nucleo, che però è un vuoto, anche metaforicamente: non è qualcosa di costruito in funzione di una architettura in particolare, e non è nemmeno un mero ingranaggio volto a soddisfare dei bisogni materiali piuttosto che spirituali o sociali.

Sarei molto tentato di ritornare alla tautologica definizione aristotelica e dire che la città è il prodotto dei cittadini (e per estensione di chi per essi lavora), che a loro volta sono prodotto della città stessa.